È il 2014 e tra qualche mese inizieranno i ricordi della
Grande Guerra, iniziata giusto cent’anni fa. Ci siamo mai domandati come vivevano
i nostri nonni, a Rapallo, nei primi anni del secolo scorso? Proviamo ad attingere dai ricordi dei
vecchi e cominciamo.
I bambini. Non c’erano mezzi anticoncezionali, ogni donna
poteva avere dieci, dodici figli. Mia bisnonna (nata nel 1852) ne ebbe
quattordici. Tutti questi bambini però avevano scarsissime cure. “Erano tenuti
come i conigli”, diceva mia nonna (che era del 1893). Appena potevano, i
genitori li mettevano a lavorare. Su “Rapallesi
e Rapallini” è apparsa un paio di volte
la fotografia di una giovane donna di Santa Maria con la figlia, entrambe
sedute al pizzo a tombolo. Avete notato che la bambina è seduta su di un
muretto, perché dalla sedia non arriverebbe al tombolo? Oltre ad essere scalza.
Sempre mia nonna mi ricordava che all’età di cinque anni l’avevano mandata
dalla maestra del tombolo, perché così, dicevano, avrebbe imparato ad avere le dita svelte. D’inverno
poi maschi e femmine in campagna raccoglievano olive. Da novembre a gennaio,
febbraio. Con il freddo, l’umido…
A scuola andavano quando potevano. Ma a Rapallo la scuola come
la intendiamo noi è arrivata solo negli anni Venti. Vero che negli anni Ottanta dell’ottocento per
legge era stata fissata l’istruzione obbligatoria fino alla seconda elementare,
ma i comuni, che avrebbero dovuto aprire
le scuole e pagare i maestri, non se ne curavano. A San Pietro negli anni a
cavallo del secolo (XIX e XX) la scuola era una grande classe unica con un
maestro ( nella casa di Passo dietro il Coro dopo decenni dopo sarebbe stato il
calzolaio).
Solo i più diligenti, in genere le bambine, imparavano a leggere e
scrivere.
Però la scuola era il primo luogo nel quale i ragazzi più
grandi infierivano sui piccoli. Oggi sui giornali si leggono tanti articoli sul
bullismo, cent’anni fa non solo era tollerato, ma i ragazzi erano spinti dalla
famiglia a sbrigarsela da soli.
I ragazzi però dovevano soprattutto lavorare. In campagna voleva dire d’estate
tagliare l’erba per il fieno, anche molto distante da casa. E poi caricarsi il
fascio in spalla e portarlo a casa. C’era qualche teleferica, per questo. D’autunno
le castagne e le olive, che continuavano per tutto l’inverno. Appena potevano,
molti emigravano. Chi non andava in
America, all’inizio dell’estate partiva per la Provenza, tornava in autunno.
Che divertimenti avevano? I ragazzi formavano squadre, in
genere una o più per frazione, con la quale affrontavano altre squadre a colpi
di pietra. Le battaglie di pietre erano memorabili. Un mio avo vendette (nel
1870) un pezzo di terreno sotto l’Aurelia, a San Rocco, perché era sempre pieno
di pietre.
Dopo i vent’anni, il matrimonio. Se i maschi potevano
scegliersi la sposa, lo stesso non valeva per le donne. In gran parte dovevano sposare
chi sceglieva la famiglia. Mia nonna, sempre la stessa, mi raccontava che
quando mio nonno la chiese in sposa rispose: “Se va bene a mio padre va bene anche
a me”. Il colloquio avvenne sul ponte in pietra di San Pietro.
Le donne che non si sposavano, perché nessuno le chiedeva o perché
la famiglia non aveva i soldi per la dote, spesso si facevano suore, per non
gravare sui genitori anziani, perché sole non potevano tirare avanti.
Ma vent’anni era anche l’età nella quale
tanti si ammalavano. La seconda metà dell’Ottocento ha visto una vera e propria
epidemia di tubercolosi, che è durata fino al 1945, con l’arrivo degli
antibiotici. Avete mai notato quanti giovani (sotto i 35 anni) ci sono nei
cimiteri, deceduti fino al 1940? In gran parte erano morti di tbc. Cattiva e
povera alimentazione, lavoro, si ammalavano facilmente e guarivano in pochi.
Nessuno aveva i mezzi per andare a curarsi nei sanatori descritti da Thomas
Mann nella Montagna Incantata.
E poi com’erano le condizioni igieniche delle nostre città?
Mia madre, nata nel 1925, raccontava che via Venezia era impercorribile a causa
della puzza dei pozzi neri, eppure in fondo alla strada c’era un pozzo d’acqua.
Solo le case sulla spiaggia scaricavano in mare, le altre avevano la vasca
sotto casa. La rete fognaria è arrivata dopo la seconda guerra mondiale.
La politica. Nel 1882 era stato introdotto il suffragio
universale maschile, limitato a chi aveva completato il ciclo della scuola dell’obbligo
o comunque dimostrava di saper leggere e scrivere.
L’unico seggio elettorale era in comune. Il consiglio
comunale era di una trentina di membri, le frazioni eleggevano uno o più consiglieri. San Pietro nei primi
anni del novecento ne aveva uno, ma nel 1911 ne elesse due (uno era mio nonno). Nel 1889 i votanti, alle comunali, erano stati un migliaio, pari al 15 per cento della popolazione, che era di poco più di seimila abitanti.
La lotta politica era aspra come adesso. Proviamo a leggere
cosa scriveva il Giornale di Genova (giornale liberale di sinistra) quando nel
1891 il sindaco Prandoni venne dichiarato decaduto e il comune commissariato. E
leggiamo gli articoli politici cittadini degli stessi anni che uscivano sull’Eco
di Chiavari. Dove il dileggio di una parte verso l’altra era la norma."...la parte eletta e colta della società è sempre stata ed è liberale.", è del 1892.
Quando vediamo le fotografie di Rapallo nei primi anni del
Secolo, pensiamo a quante ragazze erano nelle Clarisse contro la loro volontà,
ma avevano preso il velo per necessità, a quanti giovani ammalati erano in quelle case sul mare, a com’erano inquinati
(di liquami) i corsi d’acqua, piccoli e grandi, che sfociavano nel nostro
golfo.
Ricordiamo anche quant’era la distanza, mentale e culturale,
tra chi abitava a Rapallo e a Genova. I pochi rapallesi che hanno partecipato alle
spedizioni garibaldine, certamente volontari, erano persone che erano già
migrati in precedenza verso Genova, verso Livorno, imbarcati sulle navi. Che
avevano abbandonato un paese che era fuori dalla storia.
Un esempio: nel 1857 Benedetto Pendola, vent’anni, lasciò
San Maurizio di Monti per l’America del Nord. Probabilmente quando arrivò a Genova
sulla strada per l’America incontrò il
coetaneo Giovanni Pendola, nato a Genova ma il cui padre frequentava San
Maurizio. Giovanni era mazziniano, il 5 maggio del 1860 si imbarcò con
Garibaldi per la Sicilia. Negli anni
seguenti fu un attivo partecipante della vita pubblica genovese. Era un
cittadino, sapeva di avere dei diritti, e come tale si comportava. La distanza,
mentale e culturale, tra i due era enorme.
Solo diversi anni dopo Benedetto, diventato nel frattempo di
cittadino di Reno (Nevada) e poi di Visalia (California), l’avrebbe colmata.