martedì 7 gennaio 2014

Rapallo 1914


È il 2014 e tra qualche mese inizieranno i ricordi della Grande Guerra, iniziata giusto cent’anni fa. Ci siamo mai domandati come vivevano i nostri nonni, a Rapallo, nei primi anni del secolo  scorso? Proviamo ad attingere dai ricordi dei vecchi e cominciamo.
I bambini. Non c’erano mezzi anticoncezionali, ogni donna poteva avere dieci, dodici figli. Mia bisnonna (nata nel 1852) ne ebbe quattordici. Tutti questi bambini però avevano scarsissime cure. “Erano tenuti come i conigli”, diceva mia nonna (che era del 1893). Appena potevano, i genitori li mettevano a  lavorare. Su “Rapallesi e Rapallini” è apparsa un paio di  volte la fotografia di una giovane donna di Santa Maria con la figlia, entrambe sedute al pizzo a tombolo. Avete notato che la bambina è seduta su di un muretto, perché dalla sedia non arriverebbe al tombolo? Oltre ad essere scalza. Sempre mia nonna mi ricordava che all’età di cinque anni l’avevano mandata dalla maestra del tombolo, perché così, dicevano,  avrebbe imparato ad avere le dita svelte. D’inverno poi maschi e femmine in campagna raccoglievano olive. Da novembre a gennaio, febbraio. Con il freddo, l’umido…
A scuola andavano quando potevano. Ma a Rapallo la scuola come la intendiamo noi è arrivata solo negli anni Venti.  Vero che negli anni Ottanta dell’ottocento per legge era stata fissata l’istruzione obbligatoria fino alla seconda elementare, ma  i comuni, che avrebbero dovuto aprire le scuole e pagare i maestri, non se ne curavano. A San Pietro negli anni a cavallo del secolo (XIX e XX) la scuola era una grande classe unica con un maestro ( nella casa di Passo dietro il Coro dopo decenni dopo sarebbe stato il calzolaio).
Solo i più diligenti,  in genere le bambine, imparavano a leggere e scrivere.
Però la scuola era il primo luogo nel quale i ragazzi più grandi infierivano sui piccoli. Oggi sui giornali si leggono tanti articoli sul bullismo, cent’anni fa non solo era tollerato, ma i ragazzi erano spinti dalla famiglia a sbrigarsela da soli.
I ragazzi però  dovevano soprattutto  lavorare. In campagna voleva dire d’estate tagliare l’erba per il fieno, anche molto distante da casa. E poi caricarsi il fascio in spalla e portarlo a casa. C’era qualche teleferica, per questo. D’autunno le castagne e le olive, che continuavano per tutto l’inverno. Appena potevano, molti emigravano.  Chi non andava in America, all’inizio dell’estate partiva per la Provenza, tornava in autunno.
Che divertimenti avevano? I ragazzi formavano squadre, in genere una o più per frazione, con la quale affrontavano altre squadre a colpi di pietra. Le battaglie di pietre erano memorabili. Un mio avo vendette (nel 1870) un pezzo di terreno sotto l’Aurelia, a San Rocco, perché era sempre pieno di pietre.
Dopo i vent’anni, il matrimonio. Se i maschi potevano scegliersi la sposa, lo stesso non valeva per le donne. In gran parte dovevano sposare chi sceglieva la famiglia. Mia nonna, sempre la stessa, mi raccontava che quando mio nonno la chiese in sposa rispose: “Se va bene a mio padre va bene anche a me”. Il colloquio avvenne sul ponte in pietra di San Pietro.
Le donne che non si sposavano, perché nessuno le chiedeva o perché la famiglia non aveva i soldi per la dote, spesso si facevano suore, per non gravare sui genitori anziani, perché sole non potevano tirare avanti.
Ma vent’anni era anche l’età nella   quale tanti si ammalavano. La seconda metà dell’Ottocento ha visto una vera e propria epidemia di tubercolosi, che è durata fino al 1945, con l’arrivo degli antibiotici. Avete mai notato quanti giovani (sotto i 35 anni) ci sono nei cimiteri, deceduti fino al 1940? In gran parte erano morti di tbc. Cattiva e povera alimentazione, lavoro, si ammalavano facilmente e guarivano in pochi. Nessuno aveva i mezzi per andare a curarsi nei sanatori descritti da Thomas Mann nella Montagna Incantata.
E poi com’erano le condizioni igieniche delle nostre città? Mia madre, nata nel 1925, raccontava che via Venezia era impercorribile a causa della puzza dei pozzi neri, eppure in fondo alla strada c’era un pozzo d’acqua. Solo le case sulla spiaggia scaricavano in mare, le altre avevano la vasca sotto casa. La rete fognaria è arrivata dopo la seconda guerra mondiale.
La politica. Nel 1882 era stato introdotto il suffragio universale maschile, limitato a chi aveva completato il ciclo della scuola dell’obbligo o comunque dimostrava di saper leggere e scrivere.
L’unico seggio elettorale era in comune. Il consiglio comunale era di una trentina di membri,  le frazioni eleggevano  uno o più consiglieri. San Pietro nei primi anni del novecento ne aveva uno, ma nel 1911 ne elesse due (uno era mio nonno). Nel 1889  i votanti, alle comunali, erano stati un migliaio, pari al 15 per cento della popolazione, che era di poco più di seimila abitanti.
La lotta politica era aspra come adesso. Proviamo a leggere cosa scriveva il Giornale di Genova (giornale liberale di sinistra) quando nel 1891 il sindaco Prandoni venne dichiarato decaduto e il comune commissariato. E leggiamo gli articoli politici cittadini degli stessi anni che uscivano sull’Eco di Chiavari. Dove il dileggio di una parte verso l’altra era la norma."...la parte eletta e colta della società è sempre stata ed è liberale.", è del 1892.
Quando vediamo le fotografie di Rapallo nei primi anni del Secolo, pensiamo a quante ragazze erano nelle Clarisse contro la loro volontà, ma avevano preso il velo per necessità, a quanti giovani ammalati erano  in quelle case sul mare, a com’erano inquinati (di liquami) i corsi d’acqua, piccoli e grandi, che sfociavano nel nostro golfo.
Ricordiamo anche quant’era la distanza, mentale e culturale, tra chi abitava a Rapallo e a Genova. I pochi rapallesi che hanno partecipato alle spedizioni garibaldine, certamente volontari, erano persone che erano già migrati in precedenza verso Genova, verso Livorno, imbarcati sulle navi. Che avevano abbandonato un paese che era fuori dalla storia.
Un esempio: nel 1857 Benedetto Pendola, vent’anni, lasciò San Maurizio di Monti per l’America del Nord. Probabilmente quando arrivò a Genova sulla strada per l’America  incontrò il coetaneo Giovanni Pendola, nato a Genova ma il cui padre frequentava San Maurizio. Giovanni era mazziniano, il 5 maggio del 1860 si imbarcò con Garibaldi per la Sicilia.  Negli anni seguenti fu un attivo partecipante della vita pubblica genovese. Era un cittadino, sapeva di avere dei diritti, e come tale si comportava. La distanza, mentale e culturale, tra i due era enorme.
Solo diversi anni dopo Benedetto, diventato nel frattempo di cittadino di Reno (Nevada) e poi di Visalia (California), l’avrebbe colmata.